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ESISTE UN ESPATRIO “FACILE”?

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Il mio espatrio svizzero arriverà tra pochi giorni al giro di boa dell’anno e mezzo, quel momento in cui, secondo “la letteratura scientifica” il processo di adattamento alla nuova realtà dovrebbe ritenersi ormai concluso. Non ho intenzione di fare particolari bilanci in proposito, ne avevo già fatto uno piccolo piccolo solo qualche mese fa, ma recentemente mi sono trovata a riflettere su alcuni aspetti di questa esperienza di vita, anche grazie agli scambi con altre persone che si trovano nella mia stessa situazione, e a questo post.

Da qui una domanda su tutte: esiste un “espatrio facile”? Me lo chiedevo proprio leggendo il post della collega blogger, visto che la prima cosa che mi è passata per la testa è stata: “Ibiza! Non potrà essere così difficile vivere in un’isola del Mediterraneo, per di più quasi a portata di remi dalla Sardegna!” Affermazione che, me ne sono resa conto meno di un secondo dopo, non ha alcun senso logico. Io dovrei essere protagonista di un espatrio facilissimo: a meno di 300 km da “casa”, in un Paese modello, sicuro, tranquillo, dove anche “le caprette ti fanno ciao”. In una città che, negli anni in cui le va malissimo, si piazza al secondo o terzo posto per qualità della vita su scala mondiale. Ogni mese me ne torno in Italia senza grossi problemi a fare la spesa e, se proprio avessi crisi nere di nostalgia (per lo più da shopping frustrato ;-)), potrei in qualsiasi momento salire su un treno che, senza neppure la fatica di cambiare, mi depositerebbe beatamente dopo poche ore a Milano Centrale.

Il mio espatrio è stato dunque “facile”? Dal punto di vista logistico sicuramente sì, forse un po’ meno per altri aspetti. Per la lingua, ad esempio che, anche a distanza di tempo continua ad essere un discreto problema, pur se non a livello di sopravvivenza di base (e, probabilmente, questa è proprio l’arma a doppio taglio di Zurigo!) Ma il punto vero, la difficoltà di qualsiasi espatrio, in qualsiasi parte del mondo, e forse anche solo in una regione diversa da quella in cui si è abituati a vivere, non è affatto un problema pratico, o concreto che dir si voglia. La cosa più difficile da gestire è la totale e improvvisa mancanza di tutti i tuoi punti di riferimento, il tuo “know how”, quello che ti fa gestire ad occhi chiusi, col pilota automatico, il 90% delle questioni della vita. E i punti di riferimento possono essere personali, materiali o immateriali: possono essere i familiari, gli amici, i vicini di casa, i colleghi. I negozi in cui fare la spesa, il parrucchiere e l’ufficio postale. Le infinite regole non scritte di comportamento, di convivenza sociale, le abitudini, gli usi e costumi di un popolo, stratificati da secoli in quel luogo e nelle persone che lo abitano.

Sono profondamente convinta che lasciare il proprio Paese e scegliere di vivere altrove possa essere un’esperienza bellissima. Per me lo è, nonostante tutte le difficoltà. Ma credo anche che difficilmente possa essere un investimento “a costo zero” dal punto di vista personale e familiare: prima o poi, in un modo o nell’altro, qualcosa si paga. Io ho vissuto mesi in cui non riuscivo neppure a cucinare i pasti negli orari dovuti e in cui uscire di casa mi sembrava equivalesse alla scalata del K2. Ero dimagrita parecchio (nonostante mangiassi come uno scaricatore di porto), cosa che per una persona come me, da sempre sottopeso, ha avuto qualche ripercussione fisica non irrilevante. L’atmosfera casalinga non era certo sempre idilliaca e penso che le peggiori incomprensioni con il Marito, di tutti gli anni passati insieme, siano proprio nate sotto la bandiera elvetica. Non cito neanche le problematiche di gestione della Creatura, su cui stendo un ampio velo pietoso e di cui, chi legge il blog da qualche tempo, ha almeno una vaga idea.

Poi, di solito, fortunatamente, pian piano qualcosa migliora. Ci si abitua all’ambiente, allo spazio, al clima; si torna a sentire salda la terra sotto i propri piedi, a trovare una nuova dimensione personale e familiare. Si fanno nuove amicizie e magari si comincia ad avere un’idea un pochino meno confusa della propria vita. A me ha salvato molto la bellezza di questo posto, la regale armonia che io ritrovo come una costante di benedizione in questi luoghi. E una certa consapevolezza di me stessa, di ciò che sono e ciò che amo nella vita (e di ciò che non sono e non amo!), senza la quale forse non sarei neppure riuscita a partire. Ad ognuno, come sempre, tocca trovare una propria strada. E, ogni tanto, farsi una sincera domanda: “Ma in Patria si stava davvero così meglio?


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